Relazione dell’Incontro spettacolo “DEMENZE OLTRE I LUOGHI COMUNI”

SALUTI
Daniela De Pietri: Assessore ai Servizi Sociali- Comune di Carpi
L’amministrazione comunale di Carpi è stata promotrice -fin dall’inizio- di questo percorso che ha portato dalla promulgazione della legge Regionale fino alla legge nazionale oggi in discussione al Senato.
Questo è stato possibile grazie anche alla collaborazione con la sanità, il volontariato, il terzo settore.. senza i quali questi risultati non si sarebbero potuti raggiungere. Anche l’Amarcord al Café è un’esperienza importante che fa capire i bisogni dei familiari caregiver.
E’ solo mettendoci nei panni dell’altro che riusciamo a comprendere e fare ciò che è davvero necessario. L’impegno dell’amministrazione è di lavorare ancora insieme con familiari e pazienti per prendersi cura dei loro bisogni.
Non bisogna vergognarsi di quello che si fa in termini di cura : bisogna gridarlo al mondo perché dare cura è espressione primaria dell’umanità.

Annalena Ragazzoni: Presidente GAFA
Porto i saluti del GAFA e di Alzheimer Emilia Romagna. Il nostro territorio è molto ricco di espressioni associative. Non a caso il Caregiver Day è nato qua.
Cosa può fare un’associazione di familiari? Può fare molto se lavora insieme. Può fare la differenza tra una famiglia disperata e una famiglia che ce la fa. L’associazione può fare la differenza se fa rete con gli altri soggetti che si occupano di demenza.
La famiglia ha bisogno di punti di riferimento: il MMG, i servizi sociali, le assistenti familiari, i servizi specialistici geriatrici e neurologici. Se tutti questi soggetti lavorano insieme si fa la differenza. Come associazioni di familiari abbiamo un lessico diverso da quello delle istituzioni, noi parliamo di ascolto, amicizia, sollievo, accompagnamento… ognuno fa il suo mestiere ma bisogna sapere cosa fa l’altro, farlo con passione, ma anche che le diverse organizzazioni si parlino e si attivino. Sollevino il telefono e chiamino gli altri. In una realtà piccola questo è possibile perché ci conosciamo tutti e in questo modo la famiglia è anche rassicurata, si sente più tranquilla.
L’altro problema è quello dello stigma: la società non ha la sensibilità e le conoscenze necessarie… Ad es. una signora diceva che non può andare al parco con la suocera, perché quando lei vede qualcuno inizia a criticare e la persona si arrabbia. Oppure un altro che dice che non può più andare al supermercato con la moglie, perché la moglie prende oggetti e li mette nella borsa e la cassiera del supermercato non capisce che lei è malata…
Insieme possiamo renderci più capaci di capire e di far capire, di andare verso una società inclusiva che accoglie e integra la diversità.

Lettura di Lara Rigotti: attrice
Testimonianza
Marco Cattaneo: direttore di National Geographic e Mente & Cervello,
L’ultima cosa che pensavo di fare era trovarmi ad imboccare mia madre.
Mi sono sentito spaesato, avendo avuto un rapporto conflittuale con mia madre in passato, quando ha cominciato a manifestare sintomi di demenza, che lentamente peggiorava. Qualche mese fa, andando a trovare i miei genitori a Milano, vivendo a Roma, ho visto un peggioramento più significativo, una trascuratezza importante. Allora ho portato mia madre a Roma a vivere con me. I comportamenti di mia madre erano sempre più strani, poi lei ha avuto un ictus ed è stata ricoverata, avendo come esito una completa afasia. In pochi giorni la situazione è passata da un bisogno di assistenza moderato ad un’autonomia nulla.
Il mio intervento come caregiver era decisamente aumentato: dovevo assisterla in ospedale almeno due volte al giorno (anche a causa di un’assistenza inadeguata prestata dall’ospedale). Mi sono trovato inizialmente in una fase di sgomento, perché non ero preparato assolutamente, e poi via via mi sono reso conto che le sue capacità cognitive erano sempre più compromesse dal punto di vista della memoria e dell’orientamento spazio-temporale.
Attualmente è ricoverata in una RSA in cui è ben assistita e mantenuta attiva da un punto di vista cognitivo… però ci sono tanti episodi in cui non si è preparati da figli. Ad esempio la prima volta che tua madre non ti riconosce. Oppure anche episodi comici: arriva l’infermiera per cambiarla e mentre esci ed accosti la porta lei dice all’infermiera che è un sacco di tempo che non vede il figlio. Oppure è convinta di avere 6 figli e si lamenta che gli altri 5 non vengono a trovarla!
Poi c’è anche il problema burocratico: la nostra normativa sembra fatta apposta per complicare la vita a chi vuole seguire le regole e per facilitare chi vuole aggirarle! Questo si somma al dramma che tu stai già vivendo e la situazione diventa esplosiva! Io ho un lavoro anche molto impegnativo, ma penso a persone anziane che assistono ad esempio i coniugi anche loro anziani… magari senza un’istruzione elevata e la capacità di trovare informazioni che posso avere io… come fa? Non riesce ad usufruire di nessun beneficio di cui potrebbe avere diritto. Al massimo prende una badante e se la porta a casa. Allora io penso: è fondamentale cercare di assistere chi assiste persone malate di demenza perché la loro salute mentale e fisica è messa a durissima prova: sia per fronteggiare una cosa alla quale nessuno di noi sarà mai preparato (perché è impossibile), sia per avere delle procedure più trasparenti, più chiare ed aperte perché persone prive di strumenti culturali possano comunque avere accesso a cure e diritti.

Michele Farina: giornalista, scrittore. Ha scritto un libro inchiesta (“Quando andiamo a casa?”) sull’assistenza legato alla sua esperienza personale.
Da quando mia madre si è ammalata io ho fatto un lungo viaggio tra chi assiste persone con demenza..
Recentemente è uscito un articolo in cui si diceva che il caregiver è una parola recentemente importata dall’America… senza sapere che ormai è una parola sdoganata e conosciuta. Poi ci sono varie gradazioni… per me il caregiver principale è mio padre, poi c’è la badante… ci sono tanti livelli.
Quello che mi colpisce è che è un lavoro di altissima specializzazione ma, dall’altra parte, “prendersi cura di” è anche qualcosa che facciamo “naturalmente” nella vita. Caregiver implica il “dare” mentre noi diciamo “prendere” cura. Dare è qualcosa che ha un solo verso, mentre prendere è qualcosa di riflesso, è una condivisione. Ci sono dei ruoli, ci sono dei lavori (se devi cambiare il pannolone ad esempio)… quindi c’è l’aspetto del dare ma vorrei sgretolare il luogo comune che sia solo dare, invece secondo me è qualcosa di circolare. Un altro luogo comune che vorrei sfatare è che i familiari sono le persone che meno sono nella condizione di prendersi cura perché io mi intristivo e stressavo.
Non sempre si peggiora. E’ sì una degenerazione, ma è anche una situazione che dura nel tempo. Non è solo degenerazione ma anche generazione, proprio perché si ha il tempo, generazione anche di emozioni, di occasioni, a volte anche di risate non solo di dolore e difficoltà. E’ una maratona.
La nostra badante, Ines, che veniva dal Perù e che non conosceva mia madre prima, ci ha insegnato a conoscerla, a vederla per come era giorno per giorno. Non voglio santificare la badante, ma una persona simile vicino ha aiutato. I familiari da soli affondano, si chiudono, Ines è stata importante: si è presa cura anche di noi, e noi di lei. Nel mio piccolo ho vissuto solo l’esperienza di mia madre, non conoscevo nessun altro con l’Alzheimer e ho sentito l’esigenza di conoscere altre storie, altre vite, altre persone come mia madre e come me. Ho iniziato questo viaggio bellissimo. Per chi è in un’associazione può essere una cosa normale, conoscere altri e condividere, per me invece è stato eccezionale ed emozionante.
(Farina mostra un opera di Cattelan fatta per l’Alzheimer Fest, dove tutti i pezzi sono bucati e riempiti, come un ananas riempito con del cioccolato). I buchi si possono riempire, non tutti, certo. La nostra vita è fatta di buchi, non solo della memoria. C’è molto da fare ma se non si è soli, se non si percepisce la malattia solo come una degenerazione ma anche una generazione, allora è possibile farlo.

Moderatore Loredana Ligabue
Cercare di affrontare il tema della malattia come un occasione di cambiamento, in un’ottica di inclusione ed empatia. E in questo senso mi piace molto ricordare questa immagine regalataci da Michele, la generazione. Ci ha lanciato questa provocazione di togliere il “de” a degenerazione, il cogliere l’attimo in cui la persona malata, cogliere le cose in un modo differente, con un’altra ottica che guarda al presente e non al passato.
Ferdinando Schiavo: neurologo
Certi luoghi comuni si arrugginiscono e diventano opinioni diffuse. In questi tempi abbiamo a che fare con bufale e false verità. …… quando abbiamo un paziente fragile con tante patologie, chi tira le fila? Trabucchi dice che restano sacche di mancanza di conoscenza. Io ho inventato un personaggio “il dottor Malavoglia”, che non vuole lavorare con gli anziani con demenza…A volte il medico dice “tanto è vecchio”, c’è il problema dell’ageismo, l’esordio della malattia non è solo il non ricordarsi i nomi, ci sono i problemi comportamentali o cognitivi, allucinazioni, l’incapacità di svolgere attività normali come il lavarsi i denti, c’è l’inizio motorio e l’inizio vegetativo ( tutto quello che comanda quelle azioni che “non comandiamo” : la fame, la temperatura corporea, l’architettura del sonno…). Un altro luogo comune è il punteggio dei test, la fluttuabilità dei sintomi; da qui diversità di vedute dei colleghi e famigliari frastornati. Abbiamo psicofarmaci che ci hanno illuso, fanno qualcosa uno su tre, farli assumere anche se i pazienti “non rispondono”? bisogna riconquistare l’umiltà, non semplicemente aumentare le dosi…
Ci vuole un medico atipico: dobbiamo tornare a fare i medici, guardare la lingua, palpare, e non dare automaticamente psicofarmaci.
Per occuparsi di una persona con demenza serve educazione, formazione, assistenza al caregiver. Dobbiamo ritornare a parlare, non medicalizzare. E porre attenzione anche alla famiglia, come sta? E in che rapporti era con il malato: il fantasma, i rapporti gelidi, la vendetta per antichi rancori, Dr Jeckill e Mr Hide, il sacrificio…
Ci vuole tempo. Il mio impegno a trasferire le conoscenze utili . “ma così rendi medico il tuo paziente! E’ vero, ma se questo può essere utile, va bene!!.”

Dibattito
Marco Cattaneo commenta l’intervento di Schiavo quando ha citato il Mini Mental raccontando un episodio dal medico, dove una dottoressa doveva valutare l’autosufficienza della madre, che quella mattina era particolarmente attiva. La dottoressa non si accorge che mentre le prova la pressione, la signora fa domande sconnesse, dice di vedere sempre quella dottoressa tutti i giorni per un caffè quando invece è la prima volta che si conoscono. Poi la dottoressa chiede a Marco se la madre riesce ad alzarsi dalla sedia. Marco risponde di sì, talvolta. La dottoressa commenta: ma allora non è completamente non autosufficiente! Marco la guarda allibito e le risponde: “Guardi, secondo me, autosufficienza non è poter camminare ma sapere dove si và”.
PROIEZIONE DEL CORTO :“TI HO INCONTRATA DOMANI” –Regia di Marco Toscani
Monologo di Marzia Vitanza interpretata da Chiara Turrini
Marco Toscani: regista
Ho due amici che hanno genitori con Alzheimer, ho ascoltato la loro rabbia, la loro incredulità, e ho ascoltato il loro dramma, il dramma del famigliare. Per paura, diffidenza, comodità chi ne è fuori si gira dall’altra parte, io ho cercato invece di guardarli, nei loro momenti quotidiani, nei loro tentativi disperati di cercare di fare emergere un ricordo nei loro cari malati, attraverso la musica, attraverso gli oggetti, attraverso i luoghi.
Tutti questi stratagemmi per cercare di cogliere attraverso un sorriso o uno sguardo un segnale, che è un sollievo per il famigliare. L’idea di questo cortometraggio nasce da questa esperienza. C’è stato anche l’intervento di Ferdinando Schiavo. Queste emozioni non si sono concluse con l’ultimo ciack, forse sono iniziate dopo, è da due anni che giriamo scoprendo delle realtà incredibili.
Considero eroi i caregiver, mentre io vorrei che fossero le istituzioni gli eroi. Un sottobosco di eroi che combattono e lottano nell’indifferenza del mondo che li circonda.
Non ho altro da aggiungere, mi limito a questo, non scrivo libri, ma quando Michele Farina mi ha parlato dell’Alzheimer fest sono stato contento di aderire. il cortometraggio in Italia fa sempre un po’ fatica a farsi conoscere, in Francia c’è un mercato del settore, qui no. E’ vero che tutti coloro che fanno questo lavoro vorrebbero vedere i propri film nelle sale cinematografiche, ma io sono felice di venire invece a questi eventi, dove ci sono persone che condividono quest’esperienza e che si emozionano, quindi grazie.

Valeria Ribani – Membro Consiglio Arad (l’esperienza MEMOFILM)
Grazie a CAR.E.R, non solo per tutto quello che avete fatto in ambito legislativo, ma anche per il vostro importantissimo apporto culturale. Non posso farvi vedere tutto il lungometraggio relativo a Memofilm, ve ne faccio vedere solo un minuto e poi ne parleremo insieme.
Arad è un’associazione di caregiver, io mi occupo di Arad da 25 anni, ero una coordinatrice infermieristica e pratico il metodo Validation da 25 anni. Ci occupiamo di sostegno psicologico, abbiamo un caffè Alzheimer, laboratori di stimolazione cognitiva, formazione, sperimentazioni, stiamo sviluppando un’esperienza con una scuola di musica di bambini di 5 anni.
Faccio parte del gruppo MEMPOFILM, che è stato creato da un caregiver con un padre affetto da demenza mista. E ha utilizzato l’unico strumento che conosceva, ha filmato il padre tutti i giorni. Un film che il padre guardava tutti i giorni finchè è morto nella sua casa, circondato da affetto. Era il 2007, oggi ci sono tante esperienze di memofilm. Il memofilm capovolge la logica del cinema perché fa un film per un unico spettatore, ricostruisce gli elementi della propria vita per contrastare la frammentazione della memoria, coinvolge i caregiver, e insieme si costruisce un film.
E’ una grande innovazione, è uno strumento terapeutico: ha degli effetti importanti sui disturbi comportamentali, non su quelli cognitivi. La riabilitazione cognitiva è molto difficile, soprattutto oltre le prime fasi. Ma la riabilitazione attraverso la via emozionale ci restituisce la persona.

Vanda Menon: Centro geriatrico per i disturbi cognitivi del Distretto di Carpi
Questa giornata è nata da una riflessione culturale importante, uno per tutti il contributo del Dott. Schiavo, che ha parlato al nostro cuore e alla nostra pancia. Perché parliamo di andare “oltre i luoghi comuni”? La mia riflessione è che è tutto vero quello che ho sentito, c’è molto da fare, la diagnosi è uno dei compiti fondamentali del centro disturbi cognitivi e deve essere condiviso con tutti gli altri operatori (MMG, IP, Psicologa, operatori case protette / CRA, CD…). Perché dobbiamo condividere? Per una ragione fondamentale: non c’è un solo malato di demenza. Esistono persone che si ammalano in un momento della loro vita, con un cervello unico al mondo, e ciascuna persona è unica.
Qualcuno magari ha la fortuna di vivere in un posto più sensibile al tema della demenza… qualcuno no. Qui siamo in una piccola realtà e abbiamo il vantaggio di conoscerci tutti. Nel mio Centro accolgo caregiver che sono altrettanto anziani dei pazienti e hanno altrettante problematicità. Uno dei temi più importanti che avverto è il timore del caregiver di non farcela ad assistere. Sono anziani che accudiscono altri anziani con problemi importanti.
Ma ho la fortuna di avere come collega la Dott.ssa Costa, neurologa, che si occupa di demenze che insorgono in età pre-senile. E anche qui c’è la preoccupazione dei caregiver più giovani, che ricevono delle diagnosi molto dure. Non si è preparati. Però dobbiamo fare tutto il possibile per migliorare la vita del paziente, dei familiari ma anche degli operatori delle strutture residenziali.
Poi ci sono medici ed operatori più o meno bravi e questo è un altro problema…
Faccio due esempi: un caso risolto in una casa protetta. Un primario che è stata molto amata dai pazienti e dai colleghi e a cui viene l’Alzheimer. Dopo un lungo iter la famiglia decide di inserirla in struttura e qui cominciano i guai. E’ molto agitata, poco gestibile, aggressiva… Si è quindi cercato di capire la causa di questo peggioramento in équipe. E’ bastato capire che il suo ruolo di dirigente aveva rivestito tutta la sua personalità. Le è stato messo un camice, una biro ed un endoscopio e lei girava tranquillamente per i corridoi. Questo è un esempio risolto in èquipe grazie all’osservazione. Un altro esempio: una figlia di una malata di Alzheimer chiama perché l’agitazione da qualche giorno è aumentata e la signora è molto irritabile. Si cerca di indagare la situazione e si è scoperto che la causa era la cocacola: invece di comprarla senza caffeina aveva comprato quella normale e lei si era agitata.

DIBATTITO
Emanuela Costa: neurologo
Sono un neurologo, lavoro nell’UO di neurologia e il mio compito è occuparmi del CDC di II° livello. E’ una struttura che da molti anni collabora con il territorio ed è una collaborazione necessaria perché il nostro lavoro è molto complicato, lavoriamo su patologie che non hanno risposte. La situazione spesso è ingestibile e non conosciamo le cause dell’interruzione dei normali funzionamenti cerebrali. Il nostro centro fa diagnosi. La diagnosi è importante. Il nostro centro si occupa di persone giovani (<65 anni). Qui si è parlato molto di anziani, ma la demenza non è una patologia solo degli anziani. Una persona sui 45 anni si rende conto che sta cambiando le proprie prestazioni e si allarma. La nostra testa non è prevista per essere multitasking, andando avanti con gli anni è normale che si presentino alcuni problemi, come il soggettivo disturbo di memoria (ovvero: si sta invecchiando ma non è grave). Tuttavia, facendo i test appositi, a volte si evidenzia una vera e propria demenza o MCI. Ad esempio si manifestano delle afasie primarie soggettive (il linguaggio non è più lo stesso). Questa è di solito la prima molla. Quando notiamo questo tipo di demenza, sono persone giovani che lavorano ancora, così come il caregiver. E ci sono anche dei figli adolescenti. La demenza è una malattia della famiglia! I bambini possono vergognarsi od avere paura e per loro non ci sono ancora delle risposte. Per gli anziani siamo attrezzati, ma per loro niente. C’è un progetto della Dott.ssa Chiari a Baggiovara per cercare di dare riscontro epidemiologico alle demenze giovanili. Perché l’età si sta abbassando? Secondo me: lo stress, ovvero la sollecitazione continua del sistema limbico. Questo fa aumentare l’ansia a scapito della dopamina e non c’è equilibrio. Ma anche abuso di alcool, fumo, droghe, gioco patologico, eccesso di uso del PC. In questo senso questo tipo di abusi può comportare alterazioni strutturali sull’encefalo e predisporre a disturbi. Stiamo cercando di lavorare in prevenzione sui ragazzi delle scuole, per informare sui danni del cervello. Ma c’è ancora molto da fare! I caregiver delle persone più giovani devono essere preparati in modo diverso. Non basta l’accudimento che si dà agli anziani, c’è altro. Noi ci stiamo provando… ma da soli non si fa niente. Per questo i familiari vanno in crisi, perché sono soli! [/su_spoiler][su_spoiler title="Andrea Fabbo: Responsabile Programma Demenze AUSL Modena" style="fancy" icon="arrow-circle-2"]Siamo in una provincia che offre molto per le persone con demenza e loro familiari. Sono alcuni anni che ci stiamo impegnando, ma riusciamo a fare delle cose perché non siamo soli, grazie ai comuni e alle associazioni. Stiamo cercando di costituire un sistema integrato che riesce a dare una serie di risposte. Dovremmo però riuscire ad uscire dalla lettura un po’ drammatica della demenza. Ormai più che una patologia è una condizione di vita. Se la comunità permette di includere queste persone, anche come servizi sanitari riusciremmo a fare un servizio migliore. Questa è la sfida, perché la cura della demenza non passa per un farmaco ma per un impegno di tutta la comunità. [/su_spoiler][su_spoiler title="Daniela De Pietri: Assessore ai Servizi Sociali- Comune di Carpi " style="fancy" icon="arrow-circle-2"]Alla domenica si può avere un sollievo per le famiglie presso il CD Borgofortino. Il CD è gestito dall’ASP con soldi pubblici, mette a disposizione la professionalità degli operatori in ottica di sollievo. L’impegno dell’Amministrazione è chiaro: a volte facciamo fatica a comunicarlo all’esterno, ma è così. Da quest’anno viene misurato anche lo stress della famiglia come requisito. A me piacerebbe dire alla famiglia che oltre a quello che la famiglia paga, una quota importante è messa dalla comunità. La politica avrà anche fatto molti errori ma non credo che ci meritiamo di essere colpevoli di tutto il male del paese. Ci sono buone prassi anche qui da noi e la collaborazione che c’è con la sanità è molto aumentata. [/su_spoiler][su_spoiler title="Chiara Turrini : caregiver" style="fancy" icon="arrow-circle-2"]L’assessore ha parlato di soldi, ma io voglio tenere mia madre a casa. Noi abbiamo una badante, ma noi non abbiamo più soldi! Io sono un’insegnante di liceo, veniamo da una famiglia benestante, ma ormai di soldi non ne abbiamo più! Siamo noi figli che adesso dobbiamo contribuire alle spese. Bisogna tenere conto anche di dare qualche soldo anche a chi utilizza la badante, non solo la struttura. [/su_spoiler][su_spoiler title="Marco Cattaneo: caregiver" style="fancy" icon="arrow-circle-2"]La mia famiglia spende circa € 2000 mensili per l’assistenza in struttura. La mamma riceve circa € 900 di pensione. Se non c’è un intervento statale, l’assistenza ai genitori si porta via il futuro dei figli (economicamente parlando) e questo non è giusto. [/su_spoiler][su_spoiler title="Presidente Associazione Alzheimer Sassuolo" style="fancy" icon="arrow-circle-2"] Io sono stata caregiver del mio papà e dal 2003 sono impegnata nel volontariato verso i caregiver ed è un problema che conosco bene. Dobbiamo prenderci cura dei caregiver da subito. Ad esempio appena il CG riceve la diagnosi. Devono esserci dei professionisti che prendano sotto braccio queste persone ed inizino il lungo percorso, anche se loro all’inizio non sono o non vogliono essere consapevoli. Nel mio distretto ci sono ancora delle pecche, rispetto a quello di Carpi. Formazione è importantissima. Fargli rendere conto di cosa gli succederà, a cosa andranno incontro… e………….ci deve essere lo psicologo. [/su_spoiler] [su_heading size="21"]CONCLUSIONI[/su_heading] [su_spoiler title="Massimo Annichiarico: Direttore Generale AUSL Modena" style="fancy" icon="arrow-circle-2"] Appare evidente come le istituzioni qui siano presenti e coinvolte nel lavorare insieme su questo tema. Se si fa questo i risultati si ottengono! L’impatto emotivo di questa giornata è stato forte. Parto dal tema normativo e politico: noi abbiamo introdotto un Sistema Sanitario universalistico nel momento in cui il nostro paese era in forte crisi economica (1978), anche se il ragionamento era cominciato prima. Oggi bisogna ripensare il sistema, di dove vuole o dovrà andare la nostra società. Queste sono malattie della comunità e spesso la comunità riesce a fare meglio degli strumenti tecnici. Sono preoccupato del fatto che scotomizziamo alcuni aspetti della realtà: a moltissime persone non interessa questo tema. Altrimenti non si spiegherebbe perché i temi della cronicità e del welfare di comunità vengono ignorati. E’ meritorio continuare a battere il tasto in tutta Italia, per smuovere le coscienze e poi di conseguenza la politica. Il secondo elemento è quello relativo alla necessità di informare: molte delle persone che non si “svegliano” è perché non sanno. Le esperienze di malattia sono molto più forti quando le racconta chi le ha fatte. Per questo è molto importante che noi come Agenzia includiamo la presenza dei pazienti e dei caregiver, che raccontino a chi deve fare delle scelte la situazione per capire quali sono le scelte migliori da assumere. Sono convinto che in un Paese moderno sia molto pericoloso affidarsi solo ai tecnici (ma ringrazio tutti i tecnici che lavorano su questo nell’Ausl di Modena, non voglio essere frainteso, ma non bisogna segmentare il campo di lavoro, dobbiamo lavorare insieme!). Intanto la persona è una, mentre noi per formazione tendiamo a ragionare sui raggruppamenti di persone. In alcuni casi è importante, ma poi devo lavorare sull’individuo e questo non è banale. “Pensare globale ed agire individuale”. C’è anche una ragione più sociologica: la salute residua di una famiglia e di una comunità può essere salvaguardata con strumenti che i tecnici non hanno. Ci sono fasi in cui contano i tecnici, altri in cui conta la società e noi dobbiamo imparare come armonizzare al meglio queste componenti. Il resto è che non ci si nutra di questa osmosi, che ci sia una barriera da parte dei tecnici. Ma c’è anche il rischio opposto: la comunità che pensa che sia un intervento residuale. Un sistema di welfare maturo produce risultati migliori quando è generativo: quando si riesce a trovare la combinazione per poter prendere e dare, in modo circolare. Dobbiamo capire bene chi deve fare cosa, perché il risultato potrebbe non essere lo stesso. Anche una società come la nostra che ha imparato le capacità di un territorio di generare welfare quando non c’è. Non so se sia riproducibile in altri contesti, ma di sicuro non c’è dappertutto. Questo è tutt’altro che arrangiarsi! Aver costruito risposte di welfare in questo modo, anche con dei limiti, secondo me è il modo migliore. Io credo fortemente in quello che noi facciamo tutti i giorni – e intendo ognuno per il suo pezzo. La politica si fa votando in aula, ma anche quotidianamente scegliendo il proprio sistema di valori. [/su_spoiler] [su_divider][gallery ids="1063,1064,1065,1066,1067,1068,1069,1070,1071,1072,1073,1074"]